L’angolo del Trust, a cura del Prof. Mauro Norton Rosati di Monteprandone
Si parla di trust di scopo, quando l’atto istitutivo non designa alcun beneficiario e quando il compito affidato al trustee è il perseguimento di una attività benefica o il raggiungimento di uno scopo determinato. In questo genere di trust è necessaria la figura del guardiano con funzione di sorveglianza sull’attività del trustee.
Nel diritto anglosassone questa tipologia di trust è valida solo se ha scopi caritatevoli (charitable trust) quali: il soccorso ai poveri, il sostegno alla istruzione e alla religione, il miglioramento della salute e la tutela della vita, lo sviluppo della comunità, delle arti, della cultura, della scienza, dei diritti umani, la protezione dell’ambiente, la tutela dei soggetti deboli, degli animali, ecc.
In Italia rientrano in questa categoria di istituzioni, enti pubblici, fondazioni o associazioni legalmente riconosciute che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità, nonché quelli a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus). In tutti questi casi è possibile istituire un trust di scopo anziché optare per la struttura giuridica prevista dal diritto italiano.
In sostanza di parla di Fondazioni e/o Onlus (ora ETS) con scopi di pubblica utilità ed interesse.
Abbiamo avuta esperienza nella istituzione di un Trust di scopo avente finalità essenzialmente per la tutela del “popolo veneto” e ciò nel rispetto della loro autodeterminazione, storia, compatibilmente con i dettami giuridici nazionali ed internazionali.
Come è noto, il principio di autodeterminazione dei popoli è riconducibile alle norme di diritto internazionale cogente ai sensi degli artt. 1, par. 2, 55 e 76 della Carta delle Nazioni Unite.
Tale classificazione consente di considerare le norme in esame come inderogabili se non da altre norme di pari grado. L’espressione “autodeterminazione dei popoli” indica quindi l’assenza di dominazione straniera che per tutta l’era del colonialismo ha invece assediato le popolazioni locali.
Da queste molteplici fonti si delinea un diritto in formazione nella misura in cui si riconosce al popolo, sottoposto al governo straniero, l’aspettativa di divenire Stato ovvero di associarsi o integrarsi con un altro Stato indipendente, scegliendo il proprio regime politico. Infatti la soggettività internazionale – quale idoneità ad essere destinatario di diritti e obblighi – non è riconosciuta al popolo, bensì allo Stato-organizzazione capace di esercitare un effettivo potere d’imperio su un determinato territorio e nei confronti degli individui che ivi insistono, traendo la propria forza giuridica da una Costituzione. Indipendenza e autodeterminazione a volte vengono usati erroneamente come sinonimi. Per fugare ogni dubbio è bene essere chiari: l’indipendenza è il fine mentre l’autodeterminazione è il mezzo.
Le aspirazioni più o meno condivisibili da parte del Movimenti dei cc.dd. “Venetisti (e loro diverse ramificazioni)” per arrivare all’indipendenza e lo si ribadisce, solamente con metodi pacifici, legali e democratici è necessario avvalersi di un percorso riconosciuto dal diritto internazionale che prevede l’applicazione del diritto di autodeterminazione come previsto dalla Carta dell’Onu all’art. 1 paragrafo 2 e all’art. 55.
Percorso lungo e difficilmente raggiungibile!
Ma per i non addetti ai lavori, si precisa che è il senso di “appartenenza etico-storico-sociale-familiare” che configura il principio dell’autodeterminazione: per costoro, rappresenta un faro!
Infatti il “Popolo Veneto” come quello “siciliano, sardo, alto-atesino ecc. “rappresenta come accezione giuridica un Popolo, con tanto di storia di ordinamento giuridico alle spalle e propria lingua e non dialetto!
In definitiva una Comunità è tale perché accumunata da una propria storia, cultura, lingua o da comunione di intenti e fini può organizzarsi con uno Stato proprio perché il diritto di autodeterminazione conferisce ad ogni Comunità la facoltà di decidere per sé stessa.
Tale scopi non possono raggiungersi con semplici strumenti improvvisati ed improvvisabili ed “all’occorrenza creati” come forme di “rifiuto demagogico aprioristico” ma nell’intervenire sulla struttura stessa di tale movimenti, tale da renderla flessibile e giuridicamente idonea ad interloquire con l’Autorità stessa che talvolta viene messa in discussione con salvaguardia del patrimonio individuale e collettivo.
Con il recuperare tali aspettative che sono stati istituiti dei trust di scopo proprio per rendere attuale, esecutivi i programmi tipici e speciali di tale comunità.
In particolar modo si sono prefigurate partnership tra aziende accumunate dagli stessi interessi, bypassando la “rete di impresa”, in ogni settore commerciale e professionale, tutelando anche le specifiche risorse umane e tecnologiche dei soggetti coinvolti, il tutto finalizzato ad implementare il “senso di appartenenza”.
Ricalcando la struttura di un Trust si è provveduto alla individuazione dei “settlors”,
Alla nomina di un “collegio di trustee”, del “Protector” ed alla possibilità di indicare come beneficiari tutti coloro che intendono perseguire un legittimo iter.
Struttura, fondo del Trust e regole tutte particolari adattabili alla finalità per cui è stato istituito.
E’ stata una esperienza di studio, di analisi, di ricerca, di armonia e di compromesso nella più completa dialettica costruttiva.