L’angolo del Trust, a cura del Prof. Mauro Norton Rosati di Monteprandone
Nell’ambito del diritto di famiglia e di pianificazione successoria l’utilizzo del trust è la soluzione più idonea, efficace, flessibile ed economica ai fini della ottimizzazione del carico fiscale.
Il “fondo patrimoniale” come ben noto ha quale presupposto per la sua costituzione l’esistenza di un rapporto di “coniugio”, cioè un matrimonio ai sensi dell’art. 167 C.C che recita:
(Costituzione del fondo patrimoniale)
Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.
La norma disciplina la costituzione del fondo patrimoniale (in particolar modo la forma), ed elenca i beni che possono esserne oggetto; le esigenze familiari impongono una vinco labilità dei beni, e pertanto ne risultano esclusi i beni mobili e le somme di denaro.
L’atto tra vivi di costituzione del fondo patrimoniale viene considerato un atto di liberalità, a titolo gratuito; per tale ragione, non integrando adempimento di un dovere giuridico, è suscettibile di revocatoria fallimentare, ed entrambi i coniugi saranno legittimati passivi.
Il testamento volto a costituire il fondo patrimoniale deve essere di un terzo e non di uno dei coniugi.
I beni oggetto di fondo patrimoniale non possono essere beni mobili (art. 812 del c.c.), somme di denaro o un’azienda; residuano, e potranno essere tassativamente solo questi, i beni immobili, i titoli di credito e i beni mobili miscritti in pubblici registri.
Trattandosi di beni fruttiferi, i titoli di credito nominativi rientrano nella funzione designata da tale norma: il sostentamento e l’impiego per i bisogni della famiglia.
Diversamente, le cambiali e gli assegni bancari, che non producono di per sé frutti, sono esclusi dall’elencazione di cui al IV comma.
E’ bene ora precisare la situazione della “unione civile “con il “matrimonio” e se alla stessa possa applicarsi la possibilità della costituzione di un “fondo patrimoniale”:
a) il matrimonio, situazione che ha come presupposto fondamentale la diversità di sesso delle persone che compongono la coppia;
b) la “unione civile” tra persone di sesso identico (non è ammessa una “unione civile” tra persone di diverso sesso poiché, in tal caso, occorre ricorrere al matrimonio);
c) la “convivenza di fatto” registrata all’Anagrafe (tra persone di sesso identico o di sesso diverso);
d) la convivenza di fatto non registrata (che, nella nuova legge, non trova menzione e alla quale è immaginabile sarà data dai giudici la medesima rilevanza finora attribuita, in assenza di qualsiasi legislazione, alle coppie conviventi e non sposate).
Quanto al matrimonio, la relativa disciplina non è toccata dalla legislazione in tema di rapporti di coppia.
La nuova legge sulle “unioni civili “invece dà ingresso nel nostro ordinamento all’inedita figura della coppia di omosessuali che si dichiarino allo Stato Civile come “unione civile”. L’unione civile e il matrimonio restano indubbiamente disciplinati da due ben distinti apparati normativi; ma, nonostante talune differenze, moltissimi sono i punti di contatto.
Tra le differenze (oltre a quelle inerenti il sesso dei soggetti che compongono la coppia), le modalità con le quali il matrimonio si celebra e l’unione civile si costituisce; nonché il regime del cognome degli appartenenti all’unione civile (uno dei componenti può adottare il cognome dell’altro e anteporlo o posporlo al proprio).
Circa invece i punti di contatto, basta rilevare, in linea generale, che, la nuova legislazione sancisce che «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
In linea particolare, similmente a quanto accade nel matrimonio, i componenti dell’unione civile «acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri»; dall’unione civile inoltre deriva «l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni». Ancora, i membri dell’unione civile «concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato». Sono, in effetti, se si esclude l’obbligo di fedeltà che la legge detta per la coppia sposata, le stesse parole che il codice civile riferisce ai componenti della coppia unita in matrimonio.
Tra le più rilevanti conseguenze della nuova legislazione in materia di “unione civile” e di “convivenza di fatto” svetta senz’altro la rivoluzione che questa normativa comporta nella materia degli interessi economici dei componenti di queste nuove forme di vita in comune.
Infatti, prendendo in considerazione i rapporti patrimoniali che si origineranno nel corso della vita di coppia, occorre notare che la nuova legge equipara, sotto ogni aspetto, i componenti di una unione civile con i coniugi di un matrimonio: pertanto, in mancanza di una convenzione matrimoniale di adozione del regime di separazione dei beni (che, anche nel caso di unione civile, deve essere stipulata nella forma dell’atto pubblico), sia nel matrimonio che nell’unione civile si instaura il regime di comunione dei beni, nel senso che diventano di titolarità comune i beni e i diritti acquistati nel periodo durante il quale si svolge il matrimonio o l’unione civile.
Inoltre, tanto quanto i coniugi, anche i componenti di una unione civile possono adottare il regime del fondo patrimoniale.
Uno scenario diverso si ha invece nel caso di convivenza di fatto registrata poiché, in questa situazione, non si instaura ex lege un regime di comunione degli acquisti, in quanto ognuno dei conviventi di fatto rimane esclusivo titolare di ciò che egli compera.
E’ però possibile a coloro che compongono la coppia di conviventi registrata, stipulare un “contratto di convivenza” (con atto pubblico notarile o con scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, di cui è disposta la pubblicità nei registri anagrafici) mediante il quale anche nel regime di convivenza registrata si ottiene la messa in comune dei beni e dei diritti che i conviventi di fatto acquisiscano nel periodo in cui la convivenza registrata si svolge.
Ma non è sufficientemente tutelabile per uno dei soggetti coinvolti, eterosessuali.
Secondo la nuova legge, questo contratto di convivenza, oltre che regolamentare il regime degli acquisti durante la convivenza, potrà contenere anche le modalità di contribuzione dei conviventi alle necessità della vita in comune, in relazione al patrimonio e al reddito di ciascuno di essi e alla loro capacità di lavoro professionale e casalingo.
La legge non dice altro sul contratto di convivenza, se non che ad esso non sono apponibili condizioni e termini: spetterà dunque all’elaborazione degli studiosi prima, e della giurisprudenza poi, stabilire se il contratto di convivenza potrà essere suscettibile di “ospitare” altri contenuti, quali, ad esempio, la definizione in anticipo (vietata invece nel caso del matrimonio) dei comportamenti da tenere e delle contribuzioni da effettuare in caso di cessazione del rapporto di convivenza.
Occorre infine notare che le coppie sposate, unite in una unione civile o in una convivenza di fatto registrata, saranno equiparate sotto ogni aspetto nel caso in cui uno dei membri della coppia esercisca una impresa sotto forma di “impresa familiare”. Infatti, in questa ipotesi, qualsiasi sia il rapporto (matrimonio, unione civile, convivenza registrata) che unisce il soggetto imprenditore con l’altro componente della coppia, quest’ultimo partecipa in ogni caso agli utili e agli incrementi dell’impresa individuale del componente della coppia titolare dell’impresa.
Ma come ben si può vedere in Italia si è privilegiata una maggiore tutela (con tutte le riserve di illegittimità costituzionale) per una tipologia di
Rapporti “familiari” a discapito delle “convivenze more uxorio eterosessuali”.
E’ per questo che l’utilizzo del trust a maggiore ed unica tutela per le coppie “etero” non legate dal vincolo del “matrimonio” ma da sola e semplice “convivenza more uxorio”.
Sono stati redatti atti di trust appositamente dedicati alla regolamentazione e tutela delle coppie di fatto anche a tutela degli eventuali figli che dovessero essere presenti.
Con il trust si proteggerebbe nel contempo sia lo status di “convivente “ed una maggiore tutela per i minori: anche perché nel “trust fund” possono essere inseriti beni che nel fondo patrimoniale non avrebbero ingresso: titoli azionari, obbligazioni,(dossier titoli) non possono essere beni mobili (art. 812 del c.c.), somme di denaro o un’aziende.
In definitiva ampio spettro nella applicazione pratica di un trust rispetto ad altre tipologie ad oggi utilizzabili.