Quando il diritto penale societario entra in associazione
Come molti di voi sapranno il mondo dell’associazionismo si regge su molteplici pilastri. Alcuni di essi si occupano della gestione fiscale e contabile del sodalizio (vedi normativa tributaria in generale ed art. 148 Tuir e Art 90 in particolare), altri indicano i presupposti di base dei sodalizi (carta Costituzione e Libro I Titolo II del codice civile fra tutti), altri ancora, a contenuto sicuramente speciale, offrono le linee guida per “non sbagliare” poggiando però su un magma di atti normativi a contenuto diverso difficilmente comprensibile.
Non tutti peraltro sono soliti considerare altre fonti del diritto quali uso e consuetudini, prassi e giurisprudenza le quali, al pari delle fonti primarie, hanno nel tempo cementificato determinati comportamenti giuridicamente rilevanti per la gestione dei nostri sodalizi.
Residua poi chi decide di avventurarsi oltre i confini del “già detto”, inerpicandosi per strade poco battute che, il più delle volte, offrono scenari inaspettati, e non sempre positivi.
E’ il caso per l’appunto di coloro che approfondiscono il più volte richiamato Titolo V del Libro V nostro Codice Civile intitolato “Delle Società” ed a cui tutto l’impianto dell’Associazionismo in generale, già previsto nei primi articoli del nostro codice, deve necessariamente uniformarsi.
Un richiamo necessario anche se, il più delle volte, di difficile comprensione. Ma ciò che oggi deve e dovrà emergere è che, volenti o nolenti, in esso sono contenute norme a carattere cogente irrinunciabili se non si vuole subire pesantissime ripercussioni non solo dal punto di vista civile ed amministrativo ma, soprattutto, penale.
Nell’era della comunicazione globale che, grazie anche ai social network, ha offerto un nuovo modo di dialogare con i terzi e con i propri associati non bisognerebbe solamente pensare al “come” trasmettere il proprio messaggio ma anche al “cosa”.
Se nel tempo infatti la Giurisprudenza di merito e di legittimità ha finalmente accordato agli enti no profit una diversa modalità di comunicazione per assolvere agli obblighi di cui al 148 Tuir ed Art. 90 di convocazione dei propri associati ed assolvimento dei principi di democraticità interna (cfr CTR Aosta n.8/2015) dall’altro assistiamo ad una scarsa attenzione sul contenuto dei rendioconti e relative note integrative.
Così, per tutelare la trasparenza, o la fiducia dei terzi nella veridicità delle rappresentazioni contenute nelle comunicazioni sociali, sarà necessario inerpicarsi tra le fattispecie di reato collegate al Titolo V del codice civile fra cui spiccano quella di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e seguenti del c.c.) e di infedeltà patrmoniale (art. 2634 c.c.).
Prendendo ad esame il primo, il nuovo assetto dei reati di false comunicazioni sociali, a seguito entrata in vigore della l. 27 maggio 2015, n. 69, è costituito da due fattispecie incriminatrici (artt. 2621 e 2622), caratterizzate entrambe come reati di pericolo e differenziate alla luce della tipologia societaria, e da due norme (artt. 2621 bis e 2621 ter) riferite solo all’art. 2621 e contenenti una cornice di pena più mite per i fatti di “lieve entità” e una causa di non punibilità per la loro “particolare tenuità”.
È stata così confermata l’architettura a “piramide punitiva” degli illeciti in materia di false comunicazioni sociali, ma la struttura dell’impianto è fondata da soli delitti, essendosi abbandonato il modello contravvenzionale che caratterizzava la previgente incriminazione contenuta nell’art. 2621 cod. civ. per realtà non quotate in Borsa, nonché l’illecito amministrativo introdotto nel 2005 all’interno delle figure in questione (l. n. 262 del 2005).
Al livello più basso della piramide si pongono le due meno gravi figure delittuose dei fatti di lieve entità (art. 2621-bis cod. civ.), la cui cornice edittale è da sei mesi a tre anni di reclusione, mentre per la seconda ipotesi di lieve entità, basata sul concetto di imprenditore commerciale non fallibile, è altresì stabilita la procedibilità a querela della società, soci e altri destinatari della comunicazione sociale. Ed è certamente questa la fattispecie che maggiormente potrebbe interessarci non potendo ravvisarsi il reato posto al vertice della piramide, ovvero quell’art. 2622 cod. civ., il quale, riferendosi alle società quotate in Italia o in altri mercati regolamentati dell’Unione Europea, rimarrà indifferente per le nostre reatà associative o sportive dilettantistiche.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato si perfeziona eslusivamente con dolo specifico ovvero “con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto nei bilanci”.
Mentre si segnala che, per l’effetto dell’introduzione della Lg. 231/2001 sulla responsabilità degli Enti, qualora l'appostazione nel bilancio della realtà societaria (o associativa) di dati infedeli è finalizzata a far conseguire alla medesima illeciti risparmi fiscali il reato deve ritenersi commesso nell'interesse della persona giuridica. (Sez. 5, Sentenza n. 40380 del 26/04/2012)
La condotta penalmente rilevante del “nuovo” art. 2621 cod. civ. consiste nella esposizione “nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, (…) fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero” o di omettere “fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore” .
I “fatti materiali” – oggetto nei tre veicoli (bilanci, relazioni, comunicazioni sociali) della falsità commissiva/omissiva – devono essere connotati sul piano oggettivo della tipicità dal requisito della “idoneità a indurre in errore”, e sul piano soggettivo della tipicità, dal requisito della “consapevolezza” e dalla finalità di conseguire un “ingiusto profitto”.
Al di là delle questioni squisitamente tecniche che stano tutt’ora infiammando le aule dei tribunali sui concetti di “fatto materiale” e “valutazioni false o veritiere” il punto dolens, se si può dire così, è che ogni comunicazione che sia figlia di un atto dovuto quale, a mio avviso, il rendiconto annuale o di questa o quella specifica manifestazione, dovrà essere certamente figlio di un c.d. “vero legale”.
In tale contesto si afferma infatti che “veritiero” vuol dire che gli amministratori non sono tenuti a una verità oggettiva di bilancio, impossibile da raggiungere per i dati stimati, ma impone a quest’ultimi di indicare il valore di quei dati che meglio risponde alla finalità e agli interessi che l’ordinamento vuole tutelare.
Pertanto si è soliti affermare che il bilancio è “vero” non già perché rappresenti fedelmente l’obiettiva realtà aziendale sottostante, bensì perché si conforma a quanto stabilito dalle prescrizioni legali in proposito. Un “vero legale” per l’appunto che, stante la presenza di una disciplina legislativa specifica, assegna valore cogente a determinate soluzioni elaborate dalla tecnica ragionieristica.
La decisione circa la falsità di una valutazione di bilancio, rilevante ai sensi delle nuove figure di falso in bilancio, dipende dal rispetto dei criteri legali di redazione del bilancio. In tal senso, nella giurisprudenza di legittimità si è affermato che la veridicità o falsità delle componenti del bilancio va valutata in relazione alla loro corrispondenza ai criteri di legge e non alle enunciazioni “realistiche” con le quali vengono indicate (Sez. V, 16 dicembre 1994, n. 234, rv. 200451).
Quindi sempre maggiore attenzione cosiddette regole generali per la redazione del bilancio, cioè, del principio di chiarezza e di quello di rappresentazione veritiera e corretta.
Ma quali possono essere i risvolti per le nostre associazioni ?
Nell’ambito del sport di alto livello, ed in particolare nel calcio, è stato introdotto il termine di “doping amministrativo” per indicare il fenomeno delle plusvalenze illecite riversate nei bilanci delle società sportive e la Corte di Cassazione, interessata del fenomeno, già nel 1994 aveva ravvisato il reato nella condotta degli amministratori della società Udinese calcio S.p.a- che avevano posto a bilancio false poste passive derivanti dalla risoluzione di contratti con atleti non esistenti o attribuendo ad esercizi non corretti lo svincolo di giocatori realmente in carico al club.
E per le realtà più piccole ?
Posto che il Presidente o chi con esso e per esso è chiamato a redigere il rendoconto del sodalizio non è escluso dai soggetti interessati dalla norma, non mi sento di dire che il percorso sin qui tracciato possa esimere alcuno da una riflessione sul punto.
Perchè, come detto, la comunicazione globale è sempre più uno strumento alla portata di tutti, e gli obblighi imposti per rientrare nel “range” dei benefici fiscali impongono che di essa se ne faccia sempre maggior ricorso. Così dilatando il concetto di trasparenza e fedeltà non solo nei confronti dei propri tesserati ma anche di quanti, a vario titolo, vengono a contatto con la realtà associativa (locatore della palestra, sponsor, fornitore di attrezzature etc).
Posso oggi esimermi, per esempio, dall’indicare nella nota integrativa di mettere in risalto che il fondo di dotazione dovrà necessariamente far fronte ad un contenzioso tributario appena iniziato ?
Ma non solo. Spesso e sovente capita che il sodalizio decida di partecipare a gare, bandi o proggetti (anche a rilevanza europea) che impongono, nella documentazione da allegare alle domande, il deposito in copia dei propri rendiconti regolarmente approvati.
Se come detto non potrà ravvisarsi alcun reato nel caso di “errore scusabile” nella formazione del bilancio ciononostante bisognerà porre massima attenzione a chi, per questo o quel motivo (di natura squisitamente egoistica) decida di “falsare” il mercato producendo non solamente un danno alla collettivià in generale ma, soprattutto, a quelle sane realtà associative in particolare che, troppo spesso nell’ultimo decennio, si sono dovute piegare sotto la gogna mediatica di quanti si sentivano in dovere di riprenderli per comportamenti socialmente scorretti di altri.
La normativa oggi in questione, seppur preveda determinate soglie di punibilità e un comportamento commissivo e/o omissivo proprio, non di meno dovrebbe far riflettere sull’importanza che sempre più ha acquisito il terzo settore nella nostra quotidianità e sui relativi risvolti non solo sociali ma, soprattutto, economici.
Pertanto se avete avuto l’ardire di inerpicarvi sino a qui, mai dire mai … scusandomi per lo spettaccolo offerto che, nostro malgrado, ancora oggi ci pone dinnanzi prospettive non proprio paradisiache.
Da FiscoCsen del 28/06/2016
a cura dell'Avvocato Paolo Rendina, Foro di Torino