ASSOCIAZIONI E FACEBOOK

ASSOCIAZIONI E FACEBOOK
Agenzia delle Entrate e Social Network

Ho preso parte, quale relatore, il 21 settembre u.s., a Faenza, ad un Convegno su “Fisco e Sport” organizzato dal Comitato Provinciale CSEN di Ravenna.

Fra gli invitati, il Direttore della locale Agenzia delle Entrate, Dott. Antonino Loriggio, il quale, disponibilissimo, ha risposto ai numerosi quesiti dell’attenta platea.

Come succede sempre in questi casi, gran parte delle domande riguardavano le verifiche fiscali e le metodologie seguite dagli Organi preposti, particolarmente attivi, peraltro già da qualche anno, nella lotta alle “finte” Associazioni o comunque alle Associazioni che, dietro lo schermo associativo, perseguono fini di lucro, comportandosi, di fatto, quali Enti “profit”.

Nella sua esposizione, il Dirigente dell’Agenzia, ricordava come, fra gli  “indizi” di commercialità , fosse tenuta in grande considerazione la presenza, dell’Associazione verificanda, nei social network, in specie facebook, sul presupposto che un’Associazione “no profit” non debba utilizzare canali “commerciali” o comunque forieri di “visibilità” , essendo questi strumenti propri delle attività “profit”.

A dire il vero la posizione del massimo Dirigente della locale Agenzia non è nuova: l’arredamento dei locali associativi particolarmente curati, la presenza negli elenchi telefonici, il “volantinaggio” riportante le attività associative, gli open day, i messaggi radiofonici, e, peggio, i siti web “accattivanti”, sono tutti elementi riconducibili, sempre a detta delle Agenzie delle Entrate, ad una promozione di natura “commerciale” che male si concilierebbe con i soli messaggi istituzionali che un Ente no profit dovrebbe limitarsi a diffondere.

Nel rispondere al Dirigente ho rilevato, tuttavia, che questa impostazione, (e mi limito in questo mio “punto di vista” ai social network), ignora l’importanza che essi  hanno assunto per le organizzazioni non profit e, più in generale, per l’intera collettività.

Un’indagine condotta da NTEN (Società che raggruppa i dirigenti americani di non profit che utilizzano la tecnologia per promuovere le loro istanze), in occasione del 4° Social Networking Benchmark Report 2012, ha rivelato che la maggior parte delle Associazioni (66%) utilizza facebook per farsi conoscere.

Nel periodo oggetto dell’indagine (2012) ciascuna associazione ha avuto in media 8.317 utenti sul profilo facebook, con un aumento dell’81% rispetto al 2011. Su twitter la media dei followers è di 3.290 persone, con un incremento del 30% rispetto all’anno precedente; il 93% delle associazioni è presente sui social network con una media di 2,1 pagine.

Ciònonostante, la maggioranza delle organizzazioni presenti su facebook NON RACCOGLIE UN CENTESIMO CON QUESTI CANALI, a riprova del fatto che non basta essere presenti perché il messaggio, posto che sia “commerciale”, arrivi a destinazione.

Parimenti, non vi è nessuno che vi dirà di essersi iscritto ad una “Palestra” perché “attratto” dal sito web.

Mi pare, invece, che l’impostazione delle Agenzie delle Entrate ignori che siamo oramai  a fine 2013 e che i mezzi di comunicazione, commerciali e non, si sono, vuoi per effetto della crisi, oramai di proporzioni mondiali, vuoi per l’evoluzione dei costumi e del modo di comunicare, cambiati, e ancora di più cambieranno negli anni a venire; prova ne sia che in pochi anni si è assistito ad una “esplosione” della pubblicità sulla rete a discapito dei mezzi di comunicazione tradizionali (giornali, riviste, radio, TV).

Nel mondo del no profit, inoltre, questi nuovi strumenti consentono alle associazioni di allargare la rete sociale fino a coinvolgere direttamente le persone nell’attività associativa, contribuendo inoltre a condividere con altri le informazioni che riguardano la vita associativa (anche l’organizzazione di una felice ricorrenza, perché no ?) favorendo in tal modo una diffusione “virale” dei messaggi distribuiti; il tutto con un enorme risparmio rispetto ai canali “tradizionali” sopra ricordati.

Ergo, non “indice” di ricchezza o di “commercialità”, bensì testimonianza di carenza di mezzi economici che inducono gli enti no profit a ricorrere  a canali alternativi e poco costosi, e come tali idonei a  promuovere il proprio profilo istituzionale; diversamente ragionando, dovremmo concludere che anche la Chiesa, che promuove, eccome !, la raccolta fondi, (8 x 1000) effettua attività “commerciale” !

 

                                                                                                                                                              Leonardo Ambrosi