Un’Associazione Sportiva Dilettantistica, successivamente ad un controllo fiscale, si vede recapitare un avviso di accertamento: cosa fare?

Dall'esperienza di un ex Funzionario delle Entrate
La Redazione di FiscoCsen, cui collaboro, mi ha chiesto di scrivere un articolo dal taglio pratico su cosa fare dopo che ad una Associazione Sportiva è stato notificato un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate.
Provenendo dall’Amministrazione Finanziaria (Ministero delle Finanze – Direzione Centrale Accertamento), ho colto la sfida e cioè evitare di scrivere un articolo incentrato su norme e sentenze che solitamente citavo nelle circolari ministeriali in tema di controlli fiscali (di cui mi sono occupato fino a circa dieci anni fa) per scrivere un articolo divulgativo che possa essere in qualche modo utile agli associati.
Normalmente, l’avviso di accertamento, come noto, scaturisce dal controllo fiscale che può essere o presso la sede dell’Associazione (la classica “verifica” o “ispezione”) oppure “ a tavolino” (i c.d. controlli “da invito” o “ da questionario”).
La prima cosa da fare è tentare di instaurare con il “controllore” dell’Agenzia delle Entrate o della G.d.F. un contraddittorio “effettivo”, che vada al di là di quello “formale” che si svolge solitamente.
Insisto sul concetto di contraddittorio “effettivo”, perché dalla mia ventennale esperienza ho tratto che la maggior parte degli accertamenti ha origine da un controllo fiscale che si è concluso con un processo verbale di constatazione (verbale di fine verifica) che di fatto costituisce spesso una vera e propria “sorpresa” per l’Associazione (e il contribuente in genere), nel senso che il legale rappresentante dell’Associazione viene a conoscenza delle irregolarità e dei maggiori imponibili contestati soltanto alla fine della verifica e cioè soltanto nel momento della notifica del processo verbale di constatazione.
In realtà, però, il contribuente ha diritto a un contraddittorio “effettivo”, a garanzia del proprio diritto di difesa: sull’importanza del contraddittorio durante il controllo fiscale, si veda il mio articolo su FiscoCSEN (di aprile 2016).
Ebbene, in tema di mancato contraddittorio in sede di verifica fiscale, quante volte ci siamo sentiti dire dai funzionari che notificano il processo verbale di constatazione all’Associazione:“non vi preoccupate, ci sono 60 giorni per fare le memorie ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente”.
In proposito, è vero che una volta ricevuto il processo verbale di constatazione, abbiamo 60 giorni per presentare le eventuali osservazioni ex art. 12 comma 7 della Legge 212/2000, ma il più delle volte il funzionario che redigerà l’avviso di accertamento sulla base del p.v.c. non ridurrà o addirittura annullarà determinati rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione (per lo più redatto dal collega che ha svolto il controllo in Associazione) a fronte delle osservazioni presentate dal contribuente.
Ecco perché insisto nel dire che la miglior difesa da un accertamento nasce da un efficace contraddittorio durante la verifica fiscale che, pur essendo una fase istruttoria, costituisce pur sempre l’atto presupposto dell’accertamento: difatti, è nel contraddittorio in sede di verifica che abbiamo la prima grande opportunità di contestare i rilievi che i “controllori” vorrebbero verbalizzare a nostro carico.
Ma ora procediamo con ordine.
La verifica è terminata.
Nei 60 giorni sono state presentate dall’Associazione le “osservazioni” all’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 12 comma 7 della Legge 212/2000.
In proposito, al comma 7, del citato articolo 12 si precisa che l’avviso di accertamento non può essere emesso prima di 60 giorni dalla consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni. Il contribuente, quindi, deve per prima cosa accertarsi dell’avvenuto passaggio del termine e, in caso di mancato rispetto e di assenza di motivazioni che ne spieghino il carattere di urgenza, contestarlo. L’urgenza non può essere legata a motivi di natura organizzativa degli Uffici Finanziari (nota dell’Agenzia 142734 del 2009), ma deve riportare motivazioni specifiche oggettive, non riconducibili a una cattiva pianificazione delle attività ma a ragioni non conoscibili né programmabili da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Dopo il p.v.c., l’Ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate emette l’avviso di accertamento.
Come noto, da un accertamento normalmente derivano sanzioni tributarie di tipo amministrativo; in alcun casi, in aggiunta a queste ultime, possono derivare sanzioni tributarie penali: in questo secondo caso, occorre rivolgersi anche a professionisti che si occupano oltre che di tributario anche di penale.
Ma ritorniamo all’accertamento notificato.
Prima di prendere qualsiasi decisione, occorre tener presente che a partire dal 1° ottobre 2011 gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate sono esecutivi (legge n. 111 del 15 luglio 2011).
Come previsto dall’art. 29 del decreto legge n. 78/2010, gli avvisi devono contenere l’intimazione ad adempiere - entro il termine di presentazione del ricorso - all’obbligo di pagare gli importi in essi indicati o un terzo delle maggiori imposte accertate - a titolo provvisorio - nel caso in cui si decida di ricorrere davanti alla Commissione Tributaria.
Gli avvisi di accertamento diventano esecutivi decorso il termine utile per la proposizione del ricorso e devono espressamente riportare l’avvertimento che, trascorsi 30 giorni dal termine utile per il pagamento, la riscossione delle somme richieste sarà affidata agli agenti della riscossione.
In pratica, si concentra nell’avviso di accertamento la qualità di titolo esecutivo: nel 2011 si è passati dalla riscossione con emissione del ruolo (e della cartella di pagamento) ad una procedura che non prevede più la notifica della cartella.
Per aiutare i contribuenti a prendere familiarità con il nuovo meccanismo degli “avvisi di accertamento esecutivi”, l’Agente della Riscossione, con raccomandata semplice o posta elettronica, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione. L’informativa, che riguarda solo la circostanza dell’affidamento in carico e prescinde da ogni riferimento al contenuto sostanziale dell’atto, non sarà, naturalmente, inviata nel caso di fondato pericolo per la riscossione. Si tratta della cosiddetta “lettera di cortesia” dell’Agente della Riscossione.
Inoltre, è superfluo dire che prima di valutare se fare o meno ricorso avverso un accertamento, occorre considerare anche le “cifre in gioco”: promuovere un giudizio, oltre al costo del professionista, ha anche un rischio di condanna alle spese di lite da parte del Giudice tributario, oltre all’alea del giudizio.
Ma cerchiamo di procedere con ordine: vediamo, di fatto, le varie alternative su come “muoversi” una volta notificato l’accertamento.
In seguito alla notifica di un accertamento il contribuente può decidere di: porre in essere un contenzioso e quindi proporre subito ricorso; non ricorrere in giudizio e quindi prestare l’acquiescenza (ai sensi del D.Lgs. 218/1997, art. 15); ovvero, proporre accertamento con adesione (D.Lgs n. 218/1997, artt. 1-9).
L’acquiescenza consiste nell’accettazione integrale del contenuto dell’accertamento (imposte, sanzioni e interessi) e comporta la riduzione a 1/3 delle sanzioni amministrative irrogate, sempre che il contribuente:
- rinunci ad impugnare l’avviso di accertamento;
- rinunci a presentare istanza di accertamento con adesione;
- paghi, entro il termine di proposizione del ricorso (ordinariamente, 60 giorni dalla notifica dell'atto) le somme complessivamente dovute tenendo conto delle riduzioni.
Inoltre, è anche prevista la possibilità di proseguire il contenzioso per la parte inerente alle imposte e prestare acquiescenza per le sole sanzioni (art. 17 D.Lgs. 472/1997): in questo modo si ha diritto alla decurtazione di un terzo delle sanzioni.
Il contribuente, in alternativa alla soluzione precedente, può decidere di presentare un’istanza di accertamento con adesione (che sospende fino a un massimo di 90 giorni il termine utile per impugnare l’atto notificato dall’Amministrazione), può richiedere all’Ufficio di presentargli una proposta, sulla base della quale si realizza una sorta di accordo tra le parti.
Raggiunto l’accordo con l’Ufficio, il contribuente è tenuto al versamento delle imposte più un terzo delle sanzioni.
In caso di mancato accordo, invece, il contribuente può sempre procedere con il contenzioso, ma, in questo ultimo caso, vengono esclusi sconti e riduzioni su quanto dovuto.
In alcuni casi, quando ci si trova di fronte ad atti illegittimi (errori di diritto) o infondati (errori di fatto), può essere opportuno fare una istanza in autotutela indirizzata all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’avviso di accertamento.
L’autotutela può essere definita come il potere dell’Agenzia delle Entrate di riesaminare gli atti dalla stessa emessi in precedenza. Si tratta, quindi, della facoltà di rimuovere gli atti illegittimi per realizzare l’interesse pubblico al ripristino della legalità, evitando il ricorso a mezzi giurisdizionali e migliorando il rapporto con i cittadini.
Attenzione: se si chiede all’Agenzia delle Entrate il riesame (totale o parziale) dell’avviso di accertamento, l’istanza di autotutela non sospende comunque il termine dei 60 giorni entro cui definire l’avviso di accertamento, presentare accertamento con adesione o ricorso: quindi, è opportuno comunque “tener pronto” il ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria, perché l’Agenzia delle Entrate può anche non dare seguito all’istanza di annullamento (parziale o totale) dell’avviso di accertamento nei 60 giorni previsti dalla legge, il che avviene spesso.
Per quanto riguarda il ricorso tributario, va detto innanzitutto che per le controversie di valore non superiore a 20.000,00 euro, relative a tutti gli atti impugnabili (individuati dall’art. 19 del D.lgs. n. 546 del 1992), si applica la mediazione tributaria.
In sostanza, occorre fare la somma delle imposte contenute nell’avviso di accertamento: se sono non superiori a 20.000,00 euro è previsto l’istituto della mediazione tributaria .
In tale ipotesi, il ricorso produce gli effetti del reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
Fino al 31 dicembre 2015, la mediazione tributaria è stata applicata ai soli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate e notificati a partire dal 1° aprile 2012.
A decorrere dal 1° gennaio 2016, a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 156 del 2015, la mediazione è applicabile anche alle controversie relative all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, agli enti locali e all’Agente e ai Concessionari della Riscossione (per i ricorsi introduttivi presentati a partire dal 1° gennaio 2016).
Il ricorso, che può contenere anche un’istanza con la quale si propone la rideterminazione delle somme dovute, va notificato all’Ufficio che ha messo l’avviso di accertamento, con le modalità e nel termine previsti in generale per il ricorso. Si applica, quindi, la sospensione feriale dei termini dal 1° agosto al 31 agosto. Inoltre, in caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione il termine per la proposizione dell’eventuale, successiva istanza di mediazione è sospeso per un periodo di novanta giorni dalla data di presentazione da parte del contribuente dell’istanza di accertamento con adesione. Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di mediazione. A tale termine di novanta giorni si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.
La mediazione comporta il beneficio per il contribuente dell’automatica riduzione delle sanzioni amministrative al 35% del minimo previsto dalla legge. Tale beneficio può essere riconosciuto anche se il contribuente decide di pagare interamente l’imposta del procedimento di mediazione.
L’accordo di mediazione si conclude con la sottoscrizione da parte dell’Ufficio e del contribuente e si perfeziona con il versamento entro venti giorni dell’intero importo dovuto ovvero della prima rata, in caso di pagamento rateale. Il pagamento deve essere effettuato, anche tramite compensazione, con il modello F24.
In caso di mancato versamento delle rate successive alla prima, l’atto di mediazione costituisce titolo per la riscossione coattiva.
Trascorsi novanta giorni dal ricevimento del ricorso da parte dell’Ufficio senza che sia stata conclusa la mediazione ovvero che sia intervenuto l’accoglimento, anche parziale, o il diniego dell’istanza, inizia a decorrere il termine di trenta giorni per l’eventuale costituzione in giudizio del contribuente.
La costituzione avviene con il deposito del ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale; il deposito avviene con le stesse modalità previste per il ricorso relativo a controversie non rientranti nell'ambito della mediazione tributaria.
In caso di deposito del ricorso prima del decorso dei 90 giorni, l’Agenzia delle Entrate può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il giudice tributario, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la mediazione.
A seguito della conclusione positiva della mediazione tributaria, sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi e la riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all’atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla scadenza del suddetto termine di 90 giorni, fermo restando che in caso di mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d’imposta.
Invece, se il procedimento di mediazione si conclude con esito negativo, nell’eventuale successivo giudizio tributario, la parte soccombente è condannata a pagare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50% delle spese di giudizio, a titolo di rimborso delle spese del procedimento di mediazione. Inoltre, la Commissione Tributaria può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo in caso si soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate.
Per quanto riguarda l’esito del giudizio di primo grado, qualora l’esito fosse positivo, l’accertamento sarebbe annullato (l’annullamento può essere totale o parziale e ciò dipende dalle richieste contenute nel ricorso), con condanna dell’Agenzia delle Entrate alle spese del giudizio.
Qualora invece il primo grado si concluda negativamente, bisogna considerare che la sentenza di primo grado è esecutiva e che la proposizione dell’appello non ne blocca l’esecutività.
In caso di soccombenza nel giudizio di primo grado dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, il contribuente dovrà versare due terzi di quanto dovuto; eventualmente, dopo la pronuncia sfavorevole della Commissione Tributaria Regionale, il contribuente dovrà versare anche il restante terzo.
In conclusione, visto che la decisione se intraprendere o meno il contenzioso va valutata attentamente, potendo in alcuni casi rivelarsi più utili per l’Associazione Sportiva strumenti alternativi al contenzioso, è fondamentale affidarsi a professionisti esperti in tributario e in particolare di verifiche, accertamenti e contenzioso, che io sovente definisco eventi appartenenti alla “patologia” del rapporto tributario.
27 settembre 2016.
Pellegrino Alberto Fares
Commercialista, Roma