A.S.D. e S.S.D.: la perdita dei benefici fiscali e la scorretta imputazione delle spese di sponsorizzazione

A.S.D. e S.S.D.: la perdita dei benefici fiscali e la scorretta imputazione delle spese di sponsorizzazione
Raccolta delle decisioni della Corte di Cassazione nel mese di giugno 2018

Numerose, anche nel mese trascorso, le sentenze e le ordinanze della Corte di Cassazione relative al mondo dello sport dilettantistico e del no-profit; più che evidenziare, di volta in volta, quando è stata data ragione all’ente sportivo del caso, e quando invece all’Agenzia delle Entrate, in questo articolo poniamo, invece, in evidenza, i principi di diritto emersi dai provvedimenti in quanto inerenti alla corretta gestione di associazioni e società sportive dilettantistiche.

Le decisioni sono suddivise sulla base della tematica con cui i Giudici della Cassazione si sono confrontati; al termine di ogni pronuncia viene riportato il link per accedere al provvedimento integrale disponibile sul sito web della Corte di Cassazione.:

 

 

 

 

TEMATICA “SPONSORIZZAZIONI”:

Sezione           Pubblicazione            Decisione                   N°

6A CIV.             06/06/2018                ORDINANZA                14473

5A CIV.             15/06/2018                SENTENZA                  15860

6A CIV.             19/06/2018                ORDINANZA               16113

 

TEMATICA “PERDITA DI BENEFICI FISCALI E PERDITA DELLA QUALITA’ DI ENTE NO PROFIT”:

Sezione           Pubblicazione            Decisione                   N°

6A CIV.             06/06/2018                ORDINANZA               14696

6A CIV.             12/06/2018                ORDINANZA               15316

6A CIV.             18/06/2018                ORDINANZA               16099

6A CIV.             19/06/2018                ORDINANZA               16170

 

ALTRE TEMATICHE:

Sezione           Pubblicazione            Decisione                   N°                               Temi affrontati

6A CIV.             01/06/2018                ORDINANZA               14124              à        IVA SUI CORSI SPORTIVI

5A CIV.             08/06/2018                SENTENZA                  14954              à        ONLUS

5A CIV.             15/06/2018                ORDINANZA               15865 e ss.     à        IL BAR DEI CIRCOLI

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“SPONSORIZZAZIONI”:

 

Alla domanda “LE SPONSORIZZAZIONI SPORTIVE SONO SPESE DI PUBBLICITÀ O DI RAPPRESENTANZA?” offre una risposta la Sentenza n° 15860 del 15/06/2018 la quale afferma che le spese di sponsorizzazionein quanto idonee al piu’ ad accrescere il prestigio dell’impresa” vanno ritenute spese di rappresentanza.

Ecco il passaggio della Sentenza in cui si affronta la questione:

"Alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale, alle sponsorizzazioni sportive si applica l’attuale art. 108, ovvero l'art. 74, comma 2, d.p.r. n. 917 del 1986 (nel testo ratione temporis applicabile), essendo, in tutto e per tutto, equiparate alle spese di rappresentanza, in quanto effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, cioè di immediato incremento delle vendite, e piuttosto idonee ad accrescere il prestigio e l'immagine dell'impresa, gravando sul contribuente l'onere di dimostrare che all'attività sponsorizzata sia riconducibile un effettivo ritorno commerciale, nei termini sopra delineati, e sul giudice di verificare rigorosamente "in fatto" la finalità delle spese. Il principio è stato affermato da questa Corte con la sentenza n. 8679/2011, nella quale si legge che "costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l'immagine dell'impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione dì prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta. In definitiva, si ritiene debbano farsi rientrare nelle spese di rappresentanza quelle effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale, e che vadano, invece, considerate spese di pubblicità o propaganda quelle altre sostenute per ottenere un incremento, più o meno immediato, della vendita dì quanto realizzato nei vari cicli produttivi ed in certi contesti, anche temporali. Il criterio discretivo va, dunque, individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi che, per le spese di rappresentanza, può farsi coincidere con la crescita d'immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società; laddove, per le spese di pubblicità o propaganda; di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto. Alia luce di tale principio le spese di sponsorizzazione in questione, in quanto idonee al più ad accrescere il prestigio dell'impresa (...), vanno ritenute spese di rappresentanza, deducibili nei limiti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 2" (Cass. 28695/2017, n. 8121/2016, n.9715/2015, n. 27482/2014, n. 16812/2014, n. 3433/2012, n. 21270/2008, n. 17602/2008, n. 9567/2007)".

Link al provvedimento n° 15860 del 15/06/2018.

 

Alla medesima domanda risponde anche la Ordinanza n° 14473 del 06/06/2018 la quale, oltre a evidenziare il medesimo principio di diritto, offre dei chiarimenti sia in termini di onere della prova che di corretta imputazione delle spese alla luce, e nel rispetto, delle Direttive Europee in materia.

In tema d'imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 108 (ex 74, comma 2) del d.P.R. n. 917 del 1986, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l'immagine dell'impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese di pubblicità o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell'attività svolta. Ne consegue che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della norma menzionata, ove il contribuente non provi che all'attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale (Sez. 5, n. 3087 del 17/02/2016; Sez. 5, n. 21977 del 28/10/2015; Sez. 5, n. 16596 del 07/08/2015); che la normativa che prevede il regime forfettario per le associazioni sportive, introdotta con la legge n. 389/91, è in linea con l'art. 176 direttiva europea n. 112/2006, il quale esclude dal diritto alle detrazioni anche le spese di rappresentanza (Sez. 5, n. 27482 del 30/12/2014)“.

Link al provvedimento n° 14473 del 06/06/2018.

 

Alla domanda relativa al caso particolare delle “A.S.D. SCOLASTICHE O SVOLGENTI ATTIVITÀ NEI SETTORI GIOVANILI RICONOSCIUTI DA F.S.N. O E.P.S.” offre una risposta la Ordinanza n° 16113 del 19/06/2018 la quale afferma che laddove si verifichino precise condizioni, in tal caso si tratta di spese pubblicitarie, non di rappresentanza! Vediamo di seguito il passaggio in cui sono chiarite quali sono tali condizioni e come opera la presunzione.

"Bisogna ricordare che il testo normativo de quo dispone che «Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 curo, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell'articolo 74, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917». Come già precisato da questa Corte (Sez. 5. n. 5720/2016; Sez. 6-5 nn. 8981-14232-14235/2017), tale norma agevolativa ha introdotto una <> circa la natura pubblicitaria e non di rappresentanza di dette spese di sponsorizzazione, peraltro ponendo precise condizioni per la sua applicabilità e precisamente che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sui campo da gioco, etc.)”.

I Giudici della Sesta Sezione Civile hanno inoltre aggiunto che “tale presunzione legale riguarda sia la <> della spesa, quale spesa pubblicitaria, sia l’inerenza della spesa stessa sino alla soglia, normativamente fissata, dell’importo di euro 200.000”.

Link al provvedimento n° 16113 del 19/06/2018.

 

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“PERDITA DI BENEFICI FISCALI E PERDITA DELLA QUALITA’ DI ENTE NO PROFIT”:

 

Il primo provvedimento riguarda un avviso di accertamento IRES, IVA e IRAP con il quale, in breve, si richiedeva ad una A.S.D. il pagamento totale e non ridotto di tali imposte; ne derivava una controversia inerente all’accertamento del mancato rispetto dei requisiti di legge previsti ai fini della fruibilità dei benefici fiscali di cui al regime agevolato della Legge 398/91, ed in particolare all’accertamento del rispetto dei requisiti ex art. 5 del d.lgs. n° 460 del 1997 quale il divieto di indiretta distribuzione degli utili, l’obbligo di devoluzione del patrimonio dell’ente in caso di scioglimento, il dovere di tenere un rendiconto economico finanziario e di assicurare una disciplina uniforme del rapporto associativo e la libera eleggibilità degli organi amministrativi, nonché la non trasmissibilità della quota (salvo in caso di morte) e non rivalutabilità della stessa.

L’Ordinanza n° 14696 del 06/06/2018, anzitutto chiarisce che non basta che tali citati requisiti siano fissati come regola all’interno dello Statuto: l’autorità giudiziaria non può fermarsi a constatare la mera presenza sulla carta dei requisiti, ma deve svolgere una concreta analisi di merito sul fatto che le attività svolte dall’ente sportivo rispettino nel concreto tutti i requisiti di legge!

 “Gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dagli art. 111 del d.P.R. n. 917 del 1986 (in materia di IRPEG) e 4 del D.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA) - come modificati, con evidente finalità antielusiva, dall'art. 5 del d.lgs. n. 460 del 1997 - a condizione non solo dell'inserimento, negli loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell'art. 5 del d.lgs. n. 460 cit., ma anche dell'accertamento - effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione - che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse (Sez. 5, n. 8623 del 30/05/2012)“.

Per la cronaca, l’ordinanza ha affrontato anche un altro tema, accertando nel merito, per la A.S.D. in questione, il superamento dello scaglione che nel 2010 – anno dell’accertamento - determinava la decadenza dai benefici impositivi del regime della Legge 398 del 1991 e la ripresa a tassazione delle imposte come determinate dall’avviso di accertamento.

Link al provvedimento n° 14696 del 06/06/2018.

 

Le Ordinanze n° 15316 del 12/06/2018 e n° 16099 del 18/06/2018 sono state emesse a favore della stessa unica A.S.D.: due distinte controversie dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della A.S.D., nate da due similari avvisi di accertamento, relativi però a differenti “periodi” fiscali. Il tema è quello del mancato pagamento di IRES e IRAP a seguito di disconoscimento della natura associativa dell’ente (e delle agevolazioni fiscali). In entrambi i casi i Giudici della Corte di Cassazione danno ragione alla A.S.D. basandosi però su motivazioni legate ad un punto di diritto che non riguarda il merito della vicenda, bensì la “mancanza di motivazione”, o meglio la cd. “motivazione apparente”, delle precedenti sentenze della competente Commissione Tributaria Regionale che in appello aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate.

Il principio fissato nelle Ordinanze è importante; per comprenderlo appieno riportiamo alcuni dei passaggi delle sentenze della C.T.R. citati nelle due stesse ordinanze, al fine di farci una idea di come, tali sentenze, venivano, nel caso di specie, formulate:

- << … le contestazioni … si riferiscono a questioni sulle quali si sono già formati numerosi giudicati, ampiamente e correttamente motivati e sulle quali appare veramente dispersivo e puramente dilatorio ritornare, e appaiono pertanto esposte esclusivamente con l’obiettivo di sostenere l’insostenibile >>;

-  <<E’ convincente, pertanto, la motivazione della sentenza di primo grado sul punto dell’abuso della struttura associativa al fine di svolgere un’attività commerciale … >>;

I Giudici del Palazzaccio, invece, hanno dato ragione alla A.S.D. in quanto tali sentenze della C.T.R. non reca informazioni a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Ecco di seguito le motivazioni richiamate nell’Ordinanza n° 15316, similmente riprese poi anche nell’Ordinanza 16099.

— che, al riguardo, deve osservarsi che è principio consolidato di questa Corte quello secondo cui la motivazione è solo apparente - e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo - quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017); — che nel caso di specie la motivazione della sentenza, come quasi integralmente trascritta nella parte dedicata all'esposizione dello svolgimento del processo, non solo non è autosufficiente (es. Cass. n. 777 del 2011), ma neppure realizza alcuna forma virtuosa di rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, nella specie rinvenibile nella prima parte della motivazione della sentenza impugnata;

— che, a tale ultimo riguardo, questa Corte (cfr. Cass. n. 22022 del 2017) «ha ripetutamente statuito che la motivazione per relationem è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., S.U. 14814/08 e 642/15), specificando che il giudice d'appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti (Cass. sez. V, nn. 4780/16, 6326/16; Cass. S.U. n. 8053/14; conf.ex multis, Cass. sez. V, nn. 16612/15, 15664/14, 12664/12, 7477/11, 979/09, 13937/02), sicché deve considerarsi nulla - in quanto meramente apparente - una motivazione la cui laconicità non consenta di appurare, come nel caso di specie (in cui la CTR afferma che sulle «contestazioni già oggetto della controversia di Primo grado [...] i primi Giudici avevano già assunto motivate e ponderate decisioni»), che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d'appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti (ex multis Cass. sez. V, nn. 3320/16, 25623/15, 1573/07, 2268/06, 25138/05, 13990/03, 3547/02)»;

— che le considerazioni svolte dai giudici di appello nella motivazione della sentenza impugnata non disvelano il percorso logico-giuridico seguito per risolvere le questioni poste nel giudizio, estrinsecandosi in mere petizioni di principio ed affermazioni anapodittiche, da cui non è dato desumere alcunché che giustificasse la rilevata «mancanza di un reale vincolo associativo», quali fossero e quale reale capacità probatoria avessero gli elementi probatori ricavabili dagli «elenchi clienti/fornitori», dalle «singole fatture» e dalla «documentazione acquisita ed esposta in dettagliate tabelle incluse nelle motivazioni» degli avvisi di accertamento; a ciò aggiungendosi che la circostanza che l'amministrazione finanziaria avesse «ricostruito analiticamente sia si costi che i ricavi, con grande professionalità e rigore» e che le contestazioni mosse dalla contribuente apparissero «veramente pretestuose e inattendibili, e non I...] in grado di apportare elementi di chiarezza tali da poter smentire quanto accertato», come si legge nella parte finale della motivazione della sentenza impugnata, poteva al più costituire lo sbocco di un flusso argomentativo del ragionamento decisorio, nella specie però del tutto mancante”.

Link al provvedimento n° 15316 del 12/06/2018;

Link al provvedimento n° 16099 del 18/09/2018.

 

In un altro similare caso – avviso di accertamento per IVA, IRES ed IRAP a seguito del disconoscimento della natura associativa – la Ordinanza n° 16170 del 19/06/2018 la Corte di Cassazione, sempre in merito ad una dedotta nullità della sentenza per difetto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, nega tale motivazione apparente affermando che “ … il motivo è infondato e va rigettato in quanto il giudice d’appello ha espresso una chiara ratio decidendi in relazione alla natura dell’attività espletata dall’associazione”!

Ciononostante, l’Ordinanza, compiute tutte le valutazioni, da egualmente ragione alla A.S.D. accogliendo altri motivi di ricorso, ed in particolare:

1) il fatto che la Sentenza della C.T.R. non si fosse pronunciata su alcune richieste/eccezioni in quanto riportava che << risultano già esaminate e respinte motivatamente dal primo Giudice e nel gravame vengono meramente riproposte e dunque si appalesano prime di motivi specifici …>>. L’Ordinanza, in sintesi, da ragione alla A.S.D. in quanto ritiene che, nel caso di specie, la C.T.R. doveva procedere all’esame nel merito delle predette “eccezioni preliminari” riproposte in appello; di seguito la motivazione adottata.

“— che al riguardo deve ricordarsi che è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui «In tema di giudizio di appello, la ricorrenza della specificità dei motivi non può essere definita in via generale ed assoluta, ma va correlata con la motivazione della sentenza impugnata e deve ritenersi sussistente quando alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengono contrapposte quelle dell'appellato in modo da incrinare il fondamento logico - giuridico delle prime, come nell'ipotesi in cui, con riferimento ad un autonomo capo di sentenza, l'appellante, pur non procedendo all'esplicito esame dei passaggi argomentativi della sentenza, svolga il motivo di appello in modo incompatibile con la complessiva argomentazione della decisione impugnata sul punto, posto che l'esame dei singoli passaggi della stessa è inutile, una volta che l'appellante abbia esposto argomentazioni incompatibili con le stesse premesse del ragionamento della sentenza impugnata» (Cass. n. 15936 del 2003); Cass. n. 9083 del 2017 ha peraltro precisato che «nel processo tributario, è soddisfatto il requisito della specificità dei motivi di appello ove le argomentazioni svolte, correlate con la motivazione della sentenza impugnata, ne contestino il fondamento logico-giuridico, non richiedendosi necessariamente una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate che possono, invece, essere ricavate anche implicitamente, sia pure in maniera univoca, dall'atto di impugnazione considerato nel suo complesso» (v. anche Cass. n. 1200 del 2016 e, da ultimo, Cass. n. 4482 e n. 8248 del 2018);

— che, così delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento, deve osservarsi che nel caso di specie i giudici di merito non si sono attenuti ai suddetti principi giurisprudenziali, perché dal contenuto dei motivi di appello, riprodotti nel ricorso in esame nelle sue parti all'uopo essenziali, idonei a soddisfare l'onere di autosufficienza imposto dall'art. 366 cod. proc. civ., l'appellante non si è limitata a riproporre pedissequamente le argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo del giudizio, ma ha anche mosso alla statuizione di primo grado una serie di specifiche censure, nel ricorso in esame riprodotte alle pagine 8 (in relazione alla questione della delega di firma) e 9 (in relazione al tipo di accertamento condotto nella specie dall'Ufficio ed in relazione alla irrogazione delle sanzioni senza l'indicazione del trasgressore persona fisica), che, a prescindere da ogni rilievo in ordine alla loro fondatezza, avrebbero comunque dovuto indurre la CTR a ritenere sussistente il requisito di cui all'art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 e procedere all'esame nel merito delle predette "eccezioni preliminari" riproposte in appello“.

Per la cronaca, dato che “nella statuizione impugnata non è dato rinvenire alcuna pronuncia al riguardo” (né costituendo rigetto implicito), veniva ritenuto fondato anche il motivo di ricorso fondato sulla omessa pronuncia sui motivi di appello inerenti la “violazione del contraddittorio endoprocedimentale proposti dalla contribuente con riferimento all'avviso di accertamento avente ad oggetto esclusivamente la ripresa fiscale ai fini IVA, in violazione degli artt. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000 e 41, comma 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come interpretati dalla Corte di giustizia (in particolare nella sentenza del 18/12/2008, in causa C-349/07, Sopropè) e dalle Sezioni unite di questa Corte (n. 24283 del 2015)”.

Link al provvedimento n° 16170 del 19/06/2018.

 

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ALTRE TEMATICHE:

 

Ordinanza n° 14124 del 01/06/2018: in tema di applicabilità dell’esenzione IVA su prestazioni didattiche, le attività d’insegnamento delle pratiche sportive possono beneficiare dell’esenzione dall’IVA, purché poste in essere da soggetti riconosciuti da pubbliche amministrazioni … ed anche dalle federazioni sportive che sono organi del CONI.

Secondo il chiaro insegnamento di questa Corte, «in materia di IVA, l'art. 10 cit. stabilisce che sono operazioni esenti le prestazioni educative dell'infanzia e didattiche di ogni tipo - ivi incluse, secondo la prassi amministrativa (ris. 24 giugno 2002 n. 205), anche le attività d'insegnamento delle pratiche sportive - se sono rese da soggetti riconosciuti oppure da ONLUS. Il riferimento normativo a istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni è evidentemente descrittivo, mirando solo ad affermare il principio generale che tutte le attività didattiche possono beneficiare dell'esenzione dall'IVA, purché poste in essere da organismi riconosciuti da pubbliche amministrazioni. La genericità del riferimento fa sì che esso comprenda i riconoscimenti provenienti non solo dal Ministero della pubblica istruzione, ma anche da altre amministrazioni pubbliche di volta in volta competenti (cfr. C. 8977/02 e 13069/11) o da organismi da esse vigilati, come le federazioni sportive che sono organi del CONI, a sua volta sottoposto alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali» (Cass. n. 8623 del 2012, in motivazione; v. anche Cass. n. 12698 del 2017, che ha ribadito che «I compensi percepiti da un'associazione sportiva a fronte dell'attività didattica svolta sono esenti da IVA, ai sensi dell'art. 10, n. 20, del d.P.R. n. 633 del 1972, soltanto se tale attività è stata formalmente riconosciuta dagli organi della P.A. competenti nel settore, oppure da organismi da essi vigilati come le federazioni sportive»);

— che, quindi, per usufruire dell'agevolazione IVA in esame è sufficiente il formale  riconoscimento”.

Per la cronaca la pronuncia afferma anche che hanno diritto al beneficio dell’esenzione Iva anche le prestazioni finanziate da enti pubblici in quanto nel finanziamento è insita la rispondenza “dell’attività resa agli obiettivi formativi di interesse pubblico che l'ente è preposto a tutelare», costituendo detto finanziamento «riconoscimento per atto concludente della specifica attività didattica e formativa posta in essere» da parte dell'organismo non riconosciuto, consentendo al medesimo, in tal modo, di «soddisfare il requisito di cui all'articolo 10, n. 20) del DPR n. 633 del 1972 per fruire del regime di esenzione dall'IVA»“.

Link al provvedimento n° 14124 del 01/06/2018.

 

Sentenza n° 14954 del 08/06/2018: nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate disconosceva ad una fondazione l’iscrizione nel registro unitario delle ONLUS  per difetto dei requisiti necessari all’iscrizione, ossia per “disaccordo dello Statuto con alcune disposizione contenute nell’art. 10 del d.lgs. 460 del 1997”. L’Agenzia delle Entrate lamentava la “violazione dell'art. 10 del d.lgs. n. 460 del 1997, sostenendo che tale norma stabilisce che per la richiesta iscrizione occorre che lo statuto o l'atto costitutivo dell'organizzazione prevedano "espressamente" come necessario l'uso dell'espressione "organizzazione lucrativa di utilità sociale" o dell'acronimo "ONLUS" nell'attività con la quale la fondazione si denomina verso gli altri, nelle comunicazioni da lei rivolte al pubblico o nei segni distintivi da lei utilizzati; e che invece tale previsione è del tutto ignorata sia nello statuto che nell'atto costitutivo”. La sentenza da ragione all’Agenzia delle Entrate in quanto, in quanto tale previsione era assente nello Statuto, anche se nello Statuto l’ente si denominava come Onlus. Ecco di seguito il passaggio principale con cui i Giudici motivano la decisione:

Osserva il Collegio che la norma in esame non ha inteso solo prescrivere che nelle relazioni esterne la ONLUS si qualifichi come tale ma anche che tale comportamento sia previsto come obbligatorio nello statuto e nell'atto costitutivo, il che non è avvenuto nel caso di specie. E tale previsione è dalla legge considerata necessaria perché l'associazione possa legittimamente dirsi ONLUS e quindi avere diritto all'iscrizione nel registro unitario ONLUS. D'altra parte la norma in questione, non solo perché chiara nel suo significato ma anche in quanto prevede la possibilità per un ente di iscriversi ad un registro, quello delle ONLUS, dal quale discendono delle agevolazioni fiscali, non è suscettibile di una lettura più ampia: in questo senso si è già espressa la Cassazione (Cass. 25 ottobre 2017, n. 25292), la quale, rilévando che l'art. 13 bis, comma 1, del d.P.R. n. 641 del 1972, nel disciplinare le esenzioni, prevede che: "Gli atti e i provvedimenti concernenti le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e le società e associazioni sportive dilettantistiche sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative", ha evidenziato la non suscettibilità di applicazione analogica delle norme di esenzione ed agevolazione fiscale quali sono quelle che definiscono il concetto di ONLUS“.         

Link al provvedimento n° 14954 del 08/06/2018.

 

Ordinanze n° 15865, 15866 e 15867 del 15/06/2018

IL BAR NEI CIRCOLI CULTURALI E’ SEMPRE ATTIVITA’ COMMERCIALE!

La tematica sollevata dall’Ordinanza n° 15865 è già stata oggetto, nel corso del mese di Giugno 2018, di uno specifico articolo, cui si rimanda per approfondimento al seguente LINK

Per la cronaca le successive ordinanze n° 15866 e 15867, sono state emesse sempre nei confronti dello stesso Circolo, che, in merito ad ulteriori avvisi di accertamento (diverse annualità), vedeva rifiutati i propri motivi di ricorso con motivazioni similari rispetto all’Ordinanza 15865.

Link al provvedimento n° 15865 del 15/06/2018;

Link al provvedimento n° 15866 del 15/06/2018;

Link al provvedimento n° 15867 del 15/06/2018.

 

Avv. Luca Romanella

Studio Leonardo Ambrosi & Partners