Decreto “dignità”: un’entrata a gamba tesa?
A scanso di equivoci, non siamo mai stati teneri con le Società Sportive Dilettantistiche Lucrative; ne abbiamo rimarcato la genesi lobbistica ed i troppi punti di criticità; per togliervi ogni dubbio andate a leggervi quanto scrivevamo ad inizio aprile QUI
Cionondimeno, non possiamo ignorare come il nuovo Governo, con metodo sbrigativo, quasi con volontà iconoclasta, abbia strozzato nella culla la neonata lucrativa, non limitandosi a cassare i commi che la riguardavano (353,354,355,356,357,360), ma spingendosi oltre, abrogando pure i commi riguardanti i compensi derivanti dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (358,359,360)
Poche le spiegazioni fornite al riguardo dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport, Giancarlo Giorgetti, sintetizzabili nelle seguenti dichiarazioni: “Nell’ultima manovra di bilancio è stata introdotta la forma della società sportiva dilettantistica di carattere lucrativo, a nostro giudizio in maniera surrettizia e sbagliata”; “noi pensiamo che lo sport dilettantistico non debba avere fine di lucro e quindi abbiamo abolito questa fattispecie, restituendo alle Asd vere meno burocrazia e la possibilità di operare senza le complicazioni che questa normativa, a partire dal prossimo 10 luglio, avrebbe comportato per tante decine di migliaia di volontari e appassionati”.
La travagliata nascita del Governo gialloverde, a dire il vero, non lasciava presagire un grande interesse del Palazzo per i problemi che affliggono lo sport in generale e quello dilettantistico in particolare; prova ne sia che nelle svariate formazioni dell’esecutivo che si alternavano quotidianamente sui media e sui social, mai si è parlato di Ministero dello Sport (a febbraio, senza convinzione, si parlò della candidatura del penta stellato campione olimpico di nuoto Domenico Fioravanti) ed anche la nomina dell’attuale Delegato è passata quasi in sordina, senza alcuna “battaglia” fra i partiti di Governo quasi il comparto non fosse meritevole di attenzione e non portasse “visibilità” al partito di riferimento.
E' oramai prassi consolidata, nella politica italiana, che il Governo subentrante, debba, improcrastinabilmente, mettere mano, nell'ordine, alla Scuola, alla Sanità, all’Economia, e via discorrendo, senza badare se con l’acqua sporca si butti via anche il bambino; in questo modo ogni 2 anni e mezzo (1) si ricomincia da capo e poiché è più facile criticare chi ci ha preceduto piuttosto che brillare di luce propria, assistiamo alla triste deriva di un Paese che non ha una politica di largo respiro e di media/lunga strategia, riservandosi invece molto tempo alla pars destruens piuttosto che a quella construens.
Quanto incommensurabile è la presunzione di chi ritiene che ciò che hanno fatto gli altri sia tutto sbagliato?! Dove è l’umiltà di chi, in prima istanza, dovrebbe essere al servizio della collettività?
Se il principio sopra enunciato avesse ispirato da subito il neo Delegato allo Sport, (ma le poche dichiarazioni sin qui rilasciate non testimoniano, almeno per il momento, e al netto delle frasi di circostanza, di una grande conoscenza del settore sportivo dilettantistico) egli avrebbe dovuto, per i commi riguardanti le collaborazioni sportive dilettantistiche, usare maggiore prudenza, dimostrando così di porsi con umiltà al cospetto dei problemi che affliggono lo sport e di volersi confrontare preventivamente al fine di non riportare, per quanto diremo, Associazioni e Società sportive, ai problemi di vent’anni fa!
Risultato di questa mancanza di “sensibilità” è la “riapertura” della vexata quaestio: a quali prestazioni possono essere riconosciuti i compensi a tassazione agevolata disciplinati dall’art. 67, comma 1, lettera m, del tuir?
Si è tornati, d’un colpo, indietro a dicembre 2017, anzi, come qualche acuto osservatore ha sostenuto, alla Legge 342/2000 che aveva inserito i rimborsi forfetari di spesa, le indennità di trasferta, i premi ed i compensi di coloro che svolgevano esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche tra i redditi diversi ed in quel tempo ci si chiedeva se tali compensi potessero essere corrisposti, non solo a quella moltitudine di soggetti che lo facevano per diletto, avendo già una prima occupazione o comunque altri mezzi di sostentamento, ma pure a coloro i quali lavoravano stabilmente e con continuità nell’ambito dello sport dilettantistico.
Siamo andati avanti pertanto così per 15 anni con tutta una serie di contenziosi, dalle conseguenze in alcuni casi devastanti per le Associazioni ed i loro legali rappresentanti, tant’è che CONI e il Ministero del Lavoro sollevarono a tal punto il problema che il nuovo Ispettorato del Lavoro, con la Circolare di fine dicembre n. 1/2016 ebbe il merito di chiarire che, in presenza di certi requisiti, i compensi sportivi potevano essere riconosciuti anche a coloro che lavoravano nell’ambito dello sport.
Di conseguenza, arrivati al dicembre 2017, eravamo tutti persuasi che anche coloro che lavoravano nello sport dilettantistico potessero ricevere i compensi sportivi ed a suggello di questo convincimento arrivò la conferma rappresentata dalla norma contenuta nella Legge di Bilancio 2018 che ribadiva ciò di cui eravamo tutti certi.
A questo punto, e siamo ai giorni nostri, il Legislatore ha abrogato la norma riportandoci ex abrupto, come in un immaginario gioco dell’oca, alla casella di partenza, con i problemi annessi e connessi.
Se infatti, la cancellazione della norma riguardante la qualificazione dei compensi sportivi quali collaborazioni coordinate e continuative pare priva di conseguenze per coloro i quali ricevono le suddette indennità nell’ambito di un rapporto avente finalità associative, non altrettanto può concludersi circa coloro che invece operano, a diverso titolo, nello sport dilettantistico, ricavandone il principale mezzo di sostentamento.
Se dunque è bastato un “colpo di spugna” per cancellare tutto quanto, positivo o negativo che fosse, ora, con altrettanta celerità, lo sport dilettantistico attende provvedimenti che, giocoforza, dovranno essere migliori di quelli sbrigativamente abortiti.
Al Governo ed alle Istituzioni, quindi, il compito/dovere di trovare le opportune soluzioni; in quel momento sarò in prima fila a rendergliene atto!
(1) Se la durata dei governi è segno di stabilità, quella degli anni effettivi di incarico dei presidenti del consiglio ne è una buona approssimazione. In Italia, per riassumere, i capi di governo hanno governato in media per due anni e mezzo ciascuno negli ultimi 70 anni.
Verona, 21 luglio 2018
Leonardo Ambrosi